
Sono due le domande che più mi ronzano in testa in questi giorni. Così decido di scriverci su, per poterci ragionare meglio. Faccio sempre così, quando una cosa mi è poco chiara: cerco materiale (online e offline), lo studio, ne parlo con le persone che ritengo più preparate, mi confronto con le persone che stimo di più. A quel punto ci ragiono, da solo. Scrivendo.
Ora sono qua, davanti al mio Mac. Con le mie due domande, in cerca di risposte.
Cominciamo: sembra che due giorni fa, il 27 marzo 2016 pasqua cristiana, il ventottenne Muhammad Yousaf si sia fatto esplodere, nel grande parco Gulshan-e-Iqbal della città pachistana di Lahore, con addosso ventotto chili di tritolo. Che si sappia, a oggi, ci sono più di settanta morti e più di trecentoquaranta feriti.
Posso fare una prima distinzione anagrafica e dire che, dei settanta morti, ventinove erano bambini e sette donne. Se la distinzione è invece religiosa, secondo le fonti della Polizia di Lahore, sembra ci siano almeno quarantaquattro vittime identificate come musulmane e quattordici cristiane. Pare peraltro che la maggioranza dei feriti siano musulmani, nonostante le prime rivendicazioni di un gruppo fondamentalista abbiano indicato come obiettivo “i cristiani” che si ritrovavano nei giardini pubblici a festeggiare il giorno della Pasqua. A me non interessa chi abbia rivendicato questo attentato, se sia il movimento Jamaat ul Ahrar o qualcun altro…
Mi basta sapere che sono persone che hanno deciso di uccidere persone.
E qui sorge la mia prima domanda. Mi viene così naturale che non servono tanti giri di parole.
Cosa pensa quella persona nel momento in cui decide di fare quello che sta per fare? Si sta chiedendo cosa sta facendo davvero? Proprio nei secondi prima di farsi esplodere, in quegli attimi infiniti. Si chiede perché gli ideologi di questa scelta suicidaria non fanno saltare in aria loro stessi, ma mandano avanti gli altri? Per quale motivo? Per quali motivi? Religione, mi dite? Io non sono credente, ma so per certo che nessuna religione, come storico e attuale strumento di gestione sociale, fomenta l’odio.
Escludendo gli estremismi, vedi l’IS di oggi o le crociate cristiane dei primi secoli del millennio scorso…
Ma quanto vale la vita di una persona?
E qui inevitabilmente devo pormi la seconda domanda…
In base a quali criteri i telegiornali decidono di dedicare meno tempo a settanta morti pachistani che ai trentacinque europei? Ci sono morti che valgono di meno? E perché non vediamo a Lahore gli inviati delle varie televisioni mondiali? Nessun filmato: non interessa? Nessun opinionista che spenda due parole per questi settanta esseri umani? Nessun politico che si fa qualche selfie pachistano? A parte un tweet dispiaciuto di un presidente del consiglio molto social nemmeno eletto. E le vignette ricolme di rabbia o sarcasmo dove le trovo? Cambio canale forsennatamente, ma non trovo le ore di diretta televisiva in cui esperti storici, militari, xenofobi, giornalisti o futurologi ci raccontano la fine della democrazia.
Nemmeno Anne Hidalgo, primo cittadino parigino, colora la Torre Eiffel di verde e bianco!
E soprattutto, quale autentico segno di solidarietà di questa società delle azioni concrete (!), non vedo profili social con bandiere pachistane!
Ah, cazzo!
Che delusione non riuscire a trovare risposte valide.
Non ditemi, per favore, che loro sono “quelli lontani geograficamente”, non ditemi che culture diverse vengono vissute come meno prossime a noi, non ditemi fesserie che possano farmi pensare che per qualcuno le vite di quaranta ragazzini in un campo di calcio o di settanta persone in un parco giochi valgano meno di quelle di un aeroporto europeo.
Non ditemelo.
Nell’antica Grecia, Platone diceva che “si può perdonare il bambino che ha paura del buio, ma la vera tragedia della vita è quando l’uomo ha paura della luce”.
Se avete qualche risposta illuminante, vi ascolto volentieri.
There are 4 comments on this post
Caro Andrea ti leggo, entro nelle tue riflessioni grazie alla tua capacità di farmici entrare… Mi sento in colpa per non aver dato importanza a ció che è successo, per ignoranza, superficialità ed ecco che rifletto anche io.
Penso che ognuno di noi decida di dare importanza “al suo” che ha sicuramente valore anche se molto spesso limitato. Se i social, i mass media, avessero dato il tuo peso alla vicenda anche io avrei messo la bandiera del Pakistan sul mio profilo. Come mai?
Quando mi confronto con le persone, quando faccio il mio lavoro che amo sempre più avverto un senso di solitudine nella gente. Ognuno nel suo piccolo orticello pieno di paura anche solo per dire ció che pensa. Sento la profonda necessità di aggregare, unire per condividere, creare nuove vie perchè so che funziona. Uniti ci si sente più forti, più compresi, più parte di un qualcosa e, molto ma molto spesso mi scontro con i ” e ma peró…”, dati dalla paura, dall’egoismo, dall’ignoranza.
La mia mission è quella di condividere un sogno affinchè le persone migliorino e si possa veramente cambiare le cose.
Non sono perfetta, non so tutto e non ho la presunzione di voler sapere tutto ma so ascoltare. Ecco che quando ti ascolto rifletto, ampio la mia veduta e mi accorgo di ció che mi era sfuggito.
Oggi più che mai c’è bisogno di Leader capaci di scuotere le coscienze per aiutare a ” crescere”, per unire e creare forza comune quindi mio carissimo mentore farsi le domande che tu ti sei posto lascia una sensazione amara anche a te addolorato da tanta indifferenza…
Le persone non sono ancora tutte pronte per vedere ció che hai visto tu.
Continua a farti ascoltare affinchè un domani le persone possano vedere con occhi sempre più attenti e cuori sempre più grandi, affinchè si possano abbattere i muri della paura, del pregiudizio e dell’egoismo e vivere più uniti.
Ti voglio bene
Ba
Caro Andrea, condivido la tua amarezza e i tuoi dubbi. Non sembra possibile che questo mondo così evoluto stia girando in modo così illogico è ingiusto.
Forse la logica di queste guerre non si spiega con valori etici, ma tristemente all’interno dell’assuda logica economica e dell’avidità di potere di pochi, che muovono moltitudini di vite e di valori, non propriamente “umani”. Come tutte le guerre, come tutte le ingiustizie, come tutte le forme di violenza.
Con amarezza e con speranza, un filo a cui ci dobbiamo aggrappare con forza.
Sabrina
Per quanto riguarda la prima domanda credo, purtroppo, che la risposta sia: la disperazione.
Questi ragazzi non vedono luce che non sia “al di là”, di qua non c’è che il terrorismo per il terrorismo.
Per la seconda: mi sembra che siano in campo interessi politici che intendono trarre vantaggio da una contrapposizione tra Occidente e Islam, portando l’opinione pubblica ad ignorare che l’IS fa più morti tra i musulmani che tra i cristiani.
Ciao
Anna
Caro Andrea,
mi trovo spesso a fare riflessioni analoghe alle tue in tema di terrorismo, guerre e violenza.
Mi chiedo spesso cosa passi nella mente di chi preme il grilletto , o il detonatore.
Un particolare interessante ,secondo me, consiste nel fatto che gli attentatori operanti in europa , siano giovani
che sono nati e cresciuti in europa….
Secondo me uno dei problemi potrebbe essere l’integrazione che non c’è.
Gli extracomunitari (di ogni razza ed etnia) che tentano di rifarsi una vita in europa non vengono accolti ma ‘tollerati'(lo dimostrano le banlieu francesi o i vari ghetti nelle grandi periferie europee .
La paura che noi abbiamo del del ‘diverso ‘ , la difficoltà di accettare, capire , chi non è dei ‘nostri’ mette in atto meccanismi di difesa che danno come risultato la sensazione di trovarsi soli in mezzo a milioni di persone.
Capita spesso questa situazione paradossale nei ragazzi extracomunitari : sentirsi discriminati in italia perchè , extracomunitari e discriminati in patria perchè emigrati all’estero.
Penso che questa situazione (assieme ad altre criticità) possa generare sensazioni di risentimento e rabbia che trovano accoglimento nei reclutatori del terrore addestrati ad ascoltare , ad istruire e a fornire dei modelli forti di riferimento, a cui i giovani d’oggi (non solo extracomunitari) hanno bisogno per dare un senso alla propria esistenza ed uno sfogo alla propria rabbia.
Sicuramente questo è un aspetto di questa realtà e neppure esaustivo . Esistono responsabilità non solo da parte nostra ma credo anche dalla parte di queste persone che per vari motivi non cercano di avvicinarsi a noi.
Dopotutto ci si conosce avvicinandosi , ascoltandosi , parlandosi. Quando uno dei due attori non fa lo sforzo di avvicinarsi, gli sforzi della controparte per quanto profusi possono essere inutili.
Non nascondo la mia fatica ad avvicinarmi a persone di cultura diversa. Trovo difficile confrontarsi con persone aventi pensieri molto diversi dai nostri . La mia esperienza mi ha insegnato che quando accolgo le persone rispettandole nella loro integrità senza giudicare e ricevo pari trattamento, probabilmente possono esistere presupposti per una relazione positiva e stabile.
Massimiliano