
C’è un giardino, piccolo…
Colorato, di pace e di pece.
Verde.
L’aria attorno si muove nel silenzio degli strilli inutili del mondo.
Un posto piccolo.
Per uno.
C’è seduto da tempo un orso.
Nessuno sa di che consistenza sia lo sguardo dell’orso.
Ruglia poco le sue cose, ma lo fa bene.
Eppure tutti chiedono foto ricordo.
Troppi attingono per un ricordo che si sa non possa stare su alcuna foto.
Alcuni vorrebbero entrarvici, in quel giardino.
Anche il circo lo vorrebbe, quell’orso: grandi prestazioni e grandi incassi!
Fa ridere e pensare, al contempo. Cazzo.
Lui è bello, di una bellezza che non si vede spesso.
È pure buffo, per chi riesce a vedere dietro quell’aurea di significati forti e forzati.
Ciò che si vede è l’apparenza del burbero mangiatore di dilemmi.
Ovunque.
Ora è suonata la prima ora, come un volo di lieve entità, non dichiarata e ingombrante.
Era ora, erede di un mi minore.
E ora anche il tempo chiede il suo posto, un posticino dentro a quel posticino.
Lui sente che le cose meritano la fatica del diverso.
Del suo verso.
Destabilizzante e rassicurante è questa fatica.
Adesso si capisce, paradossalmente, che i fiori non vanno colti, ma annusati a occhi chiusi e osservati a cuore aperto…
Il resto è giardinaggio.
Si sa.